«Passio» secondo Tommaso Moro di Monsignor Gianfranco Ravasi

Passa in tv un modesto (e quindi pettoruto e arrogante) politico e m’accorgo che proclama con autocompiacimento: «Non sono un uomo per tutte le stagioni». Il misero è convinto, con questa professione di coerenza, di celebrare la sua cristallina identità; egli ignora che «uomo per tutte le stagioni» era, in realtà, la solenne epigrafe che Erasmo da Rotterdam aveva assegnato a un altro politico, questa volta grande, modesto (in ben altro senso) e veramente coerente, cioè Tommaso Moro. Anzi, fu proprio quella definizione a diventare nel 1966 il titolo di un film straordinario di Fred Zinnemann, A Man for All Seasons, con un cast “stellare”, dal formidabile protagonista Paul Scofield a Orson Welles, da Vanessa Redgrave a Susanna York, da Nigel Davenport a Robert Shaw, e con un bottino finale di cinque Oscar.
Ma perché mai questo integerrimo cancelliere di Enrico VIII, dissoluto e tirannico re d’Inghilterra, si merita un tale motto, lui lontano anni luce dai nostri politici voltagabbana? Lo merita per la variegata complessità della sua figura che brillò in ogni stagione della sua vita e in ogni situazione: marito e padre affettuoso, politico rigoroso, umanista raffinato (come non ricordare la sua celebre Utopia?), pensatore, giurista e soprattutto cristiano fedele e appassionato. Ed è un’alta testimonianza di quest’ultimo lineamento (ma non solo) il saggio De tristitia Christi che nell’edizione italiana viene proposto come Gesù al Getsemani (in realtà nell’autografo sir Thomas More aveva declinato varie titolature latine).
Siamo alle soglie della sua esecuzione capitale che avverrà il 6 luglio 1535; egli è carcerato nella Torre di Londra ed è spontaneo per lui credente ricorrere al modello supremo, il Cristo dell’agonia sotto le fronde degli ulivi del Getsemani, componendo una meditazione-esortazione capace di intrecciare esegesi e parenesi, argomentazione e invocazione. La solitudine di Gesù, circondato soltanto da discepoli assonnati, si trasforma in domanda lacerante rivolta al Padre perché «allontani il calice» della sofferenza e della morte. Paura, preghiera, dolore fisico e sofferenza interiore, amore e tradimento, silenzio di Dio e fiducia: tutto si raggruma in quelle ore nell’anima di Cristo e in quella di Tommaso. Ma, proprio allora, all’ex-cancelliere del regno vengono sottratti anche carta, penna e inchiostro e così il testo rimane incompiuto nella scena dell’arresto di Cristo e l’ultima frase vergata diventa quasi un emblema della fine dello stesso autore: «solo allora furono per la prima volta messe le mani addosso a Gesù».

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